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La Club House

Cos’è la club House? Per molti è solo il bar/ristorante costruito all’interno di un impianto sportivo, per noi rugbisti è qualcosa di più. Rappresenta un luogo di aggregazione, dove il passato vive in fotografie ingiallite , gagliardetti di cento anni e vecchi rugbisti che dispensano racconti e aneddoti, mentre il futuro “passa” e vive nei volti felici dei bambini che, a poco a poco, scoprono il rugby. Ecco, questo mix di ricordi e speranze è quello che per me ha sempre appresentato una vera club house. Ho avuto la fortuna di frequentarne molte, ho cambiato spesso squadra, così l’accoglienza appena arrivato era sempre nel Club affine al campo da gioco. Di norma il primo ad accogliermi era sempre il custode, un vecchino minuto e silenzioso che non aveva mai giocato a rugby, ma se messo su un campo da gioco avrebbe potuto dare del filo da torcere ai giocatori più esperti e se seduto in panchina sarebbe stato in grado di guidare una qualsiasi squadra alla vittoria.

Questo perché lui il rugby lo viveva in prima persona, da almeno 30 anni più di chiunque altro (tutti custodi con cui ho avuto a che fare erano così) e, anche se poco intenzionato a parlare, queste cose si capivano dai suoi sguardi e dalla sua aria “ovalmente” stanca e vissuta. Una volta superato lo “step custode”, era la volta dell’entrata nella club – house, non ti facevano mai vedere il campo, ma tutti ti presentavano il luogo nel quale si poteva realmente respirare aria di rugby e, soprattutto, osservando il vissuto del club immortalato in foto, gagliardetti e cartelloni, potevi capire realmente la genuinità della squadra nella quale eri “arrivato” a giocare. All’interno della struttura (casupola, piccolo bar, capannina arredata o semplice container), la maggior parte delle volte, guardando le pareti potevi capire la storia della società, non ci voleva qualcuno pronto a spiegartela, bastava contemplare le gesta immortalate in foto d’annata, oppure perderti nei vecchi cartelloni delle partite più importanti, disputate in quello stadio. Una delle cose che mi ha colpito di più è che, spesso, invece che i giocatori più famosi, andati a giocare (magari) in squadre più blasonate, nella club house venivano ricordati quelli più fedeli, quelli che avevano dedicato una vita rugbistica intera alla stessa squadra.

Questo mi ha sempre fatto essere orgoglioso del mio sport: perché non importava dove avevi giocato, l’importante era come ti eri comportato dentro e fuori dalcampo nel corso della tua carriera. E questo le Club House lo sapevano. Una volta percepito l’ambiente nel quale stavi per cominciare la tua nuova vita/avventura sportiva, dovevi passare l’ultimo “step”: gli anziani rugbisti da banco. Di norma erano tre, molto vecchi e tutti ex giocatori di altissimo livello. Il colloquio con gli esperti consisteva in un’analisi (da parte loro) della tua struttura e forma fisica, di un’analisi tecnica una volta capito in che ruolo giocavi e un’analisi tattica, una volta risposto a qualche loro breve domanda di gioco. Normalmente tu avresti voluto parlare, ma loro facevano le domande e si davano le risposte ragion per cui… 

Superati questi due passaggi inevitabili, ti potevi definire un precario della club house, perché solo dopo le prime partite e i primi allenamenti potevi essere accettato completamente e rispettato, mentre solo dopo la prima cena di fine stagione potevi sentirti parte integrante del club. Chi ha orecchie per intendere

intenda…

 

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